“Yalla Yalla” è il richiamo che mi riporta alla realtà. Altrimenti sarei persa nei miei pensieri e nell’obiettivo della mia macchina fotografica che cerca di cogliere ogni istante di questa esperienza.
Da qualche parte ho scritto “indelebile”, forse è in questo modo che volevo fosse la Giordania. Aspettavo che mi colpisse violentemente, così da sentire la botta il più a lungo possibile. La mia prima volta in Medio Oriente, in una cultura che mi tira a sé in uno stridente e caloroso abbraccio, tra gente sorridente, poco libertina e capace di lasciare un segno.
Ho vissuto una settimana pensando ne fossero passate dieci. Il tempo t’inganna quando aspetti una cosa per un lungo periodo. Si dilata con lo spazio diversamente da come siamo abituati: un giorno diventano cinque, e contemporaneamente zero. Il sapore è quello di essere appartenuto a quel posto da sempre. Così il cervello smette di funzionare e iniziano a contare solo le emozioni. Per questo mi sono aggrappata ad ogni attimo. Sempre per lo stesso motivo: sperando non passasse veloce.
Volevo che la Giordania avesse l’opportunità di entrare in me. Volevo potessi sognare di tornare. Ed è così ora, non mi basta. La Giordania va conosciuta più profondamente, cercando un rapporto vero e duraturo perché è uno di quei posti in cui non è sufficiente andare una volta per mettere una bandierina sul mappamondo e soddisfare la propria innata curiosità.
Ho ammirato chilometri di paesaggio desertico, uno degli aspetti che mi ha colpito di più. Più di Petra, del Tesoro, del canyoning? Forse no, ma mi è rimasto in maniera diversa.
Il panorama giordano è malinconicamente bello.
In alcune zone è più o meno sempre lo stesso fino a quando arriva un piccolo villaggio, povero e con qualche negozio disordinato, che si affretta a spezzare la monotonia. E’ un equilibrio in bilico tra oggi e domani, tra la voglia di andare avanti ed il cuore nelle tradizioni, tra divise scolastiche e fili di kajal agli occhi. Basta lasciare le vie principali per scoprire strade sterrate dove non passano macchine per chilometri, capre e pastori pascolare tra una fitta vegetazione di fichi d’india e scovare i bambini che, nell’attesa, giocano a fare tuffi da una piccola cascata.
Ci sono loro, le persone, con cui avrei voluto parlare di più. Ti guardano dal finestrino con un misto di curiosità, interesse e apertura. E’ proprio così, con questa spontaneità, che ci si ritrova nella cucina di un piccolo ristorante a gestione familiare, cercando di comunicare con i sorrisi: l’unica vera forza. Sorridono, si nascondono, ti offrono il tè e ti rendono partecipi di balli e canti locali. Rispondono alla cortesia con cortesia. La gente in Giordania è ospitale e dedita agli altri, tollerante e aperta ad ogni tipo di credo.
Questo paesaggio mesto ha fatto da cornice ad un itinerario percorso da nord a sud, tra tante risate, spiegazioni storiche, visioni culturali e giusto qualche riposino.
La storia qui in Giordania si intreccia nei secoli perché è qui che hanno preso forma alcune delle culture che, in un modo o nell’altro, hanno influenzato la nostra vita odierna. Il senso di impotenza che si ha calpestando alcuni di questi luoghi, rende tutto ancora più magico. Come lo è l’incanto del muezzin che risuona poeticamente nelle città suscitando un certo effetto, anche su di me. La preghiera scandisce le ore del giorno, offre ordine e equilibrio, disciplina e dedizione. E’ una dolce sinfonia che crea un’atmosfera colma di partecipazione, comunione e condivisione.
La Giordania è una piccola oasi che ha bisogno della sua importanza. Ho cercato di capirla intimamente ed ho lasciato che anche lei mi rapisse, che si creasse un legame. Necessita della giusta attenzione per non spegnersi e farsi trascinare dalle voci che la vogliono insicura. La Giordania si mostra com’è, senza aspettarsi nulla in cambio.
Io, intanto, i sorrisi me li tengo stretti e aspetto di rivederli presto. Cara Giordania, sei arrivata dopo tanto tempo, ma questo è il mio grazie.